Non sono un mostro by Carme Chaparro

Non sono un mostro by Carme Chaparro

autore:Carme Chaparro [Chaparro, Carme]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 978-88-93-90044-7
editore: SEM
pubblicato: 2017-11-01T16:00:00+00:00


22

Inés

Non so se sia corretto parlare di stati d’animo, perché in realtà era tutto il mio corpo a salire e scendere. Testa, anima e cuore all’unisono. Quando ero in alto, pensavo che fosse tutto possibile. Se ti alzi dal letto, Pablo tornerà. Se apri la porta con la mano destra, Pablo tornerà. Se ti metti la maglietta gialla, Pablo tornerà. Ero dunque in uno stato di iperattività in cui né il tempo né il mio corpo si espandevano abbastanza da permettermi di fare tutte le cose che volevo fare. Mi sentivo addirittura così forte da poter sostituire tutto il dipartimento di polizia nella ricerca di mio figlio.

Poi, di colpo, senza un motivo preciso, crollavo. In una frazione di secondo, tutta quell’energia che mi ribolliva dentro implodeva, piegandosi e comprimendosi su se stessa infinite volte fino a scomparire, lasciandomi vuota e floscia come una marionetta senza fili.

«Vai a casa e aspetta, non puoi fare niente.» Ana me lo disse con tutta la delicatezza possibile quando, dopo essere uscita dall’ospedale, mi presentai in commissariato. Erano passate soltanto quattro ore dalla scomparsa di Pablo. «Vai a casa e aspetta» mi disse, come se fosse la cosa più normale del mondo da fare quando tuo figlio è scomparso ed è nelle mani di un pazzo.

So che Ana doveva cacciarmi da lì, che io non potevo restare con gli agenti che stavano indagando sul caso, ma in fondo all’anima sapevo che non gliel’avrei mai potuto perdonare. Perché ciò che volevo in quel momento, ciò di cui avevo bisogno, era che la mia amica mi abbracciasse e mi dicesse che sarebbe andato tutto bene, che l’avrebbero trovato, che a Pablo non sarebbe successo nulla. Volevo che Ana mi accarezzasse i capelli e mi consolasse fino alla ricomparsa del mio bambino. Desideravo disperatamente sentirmi dire che si sarebbe sistemato tutto. Lei era una poliziotta. Me lo doveva promettere. Me lo doveva giurare. Per favore, per favore, per favore. Invece no. Ana non fece nulla del genere, si limitò a guardarmi negli occhi e mi disse che avrebbero fatto tutto il possibile per trovare Pablo, che aveva a disposizione i migliori poliziotti e che non avrebbero chiuso occhio fin quando mio figlio non fosse tornato da me.

«Tornerà, vero?» insistetti.

«Inés,» mi ripeté «vai a casa e riposa. Vuoi un sostegno psicologico? Avviso qualcuno?»

Che cazzo di sostegno psicologico? Quello che volevo era che trovassero mio figlio. E che ci facevo io in casa da sola? Si può forse immaginare un’attesa peggiore? L’attesa di un padre o di una madre rinchiusi in casa a contare i secondi, uno dopo l’altro, esasperatamente lenti come se il tempo si stesse costruendo lì intorno, in attesa di una telefonata.

Da sola.

Non volevo raccontarlo a nessuno. Non ancora. Qualche angolo del mio cervello cosciente mi avvisava dello scompiglio che si sarebbe scatenato non appena la notizia fosse filtrata; ma mancavano ancora diverse ore prima che ciò accadesse. Dovevo avvisare mia madre prima che i mass media lo scoprissero, ma stava passando qualche giorno a Lanzarote con un gruppo di amiche.



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